Una cosa che mi capita di fare spesso in consulenza è quella di provare a ragionare come se fossimo in un contesto diverso da quello del percorso nutrizionale. Quello che accade è che cambiando sfondo, e magari considerandone uno che a noi poco interessa, ci si riesce a dare delle risposte che fanno meno male e che sono anche più sincere.
Quindi propongo anche a te, prova a rispondere alla domanda che c’è nel titolo (se vuoi puoi proprio rispondermi via mail o nei commenti se ti va): se invece di andare dal nutrizionista, per perseguire un obiettivo come la perdita di peso, iniziassi un corso per imparare il giapponese, cosa ti aspetteresti?
Magari parti super carica, o carico, perchè hai l’obiettivo di imparare il giapponese almeno un po’, in vista del viaggio che farai in Giappone tra un anno. Non è la prima volta che ti iscrivi a un corso per imparare un nuova lingua, ma questa volta è diverso… hai la motivazione a mille! Vai a tutte le lezioni, fai tutti i compiti che l’insegnante propone, partecipi in classe e ti metti in gioco. Per un po’ funziona, impari i numeri, i giorni della settimana, i mesi, ecc… .
Succede, a un certo punto, che i tuoi orari di lavoro cambiano e ovviamente l’orario in cui avevi lezione viene colpito da questi nuovi orari. Riesci però a concordare di andare a settimane alterne al corso, almeno non perdi tutte le lezioni! Accade però che anche il tempo per fare gli esercizi si riduce perchè ti ritrovi con degli impegni imprevisti. Per fortuna riesci a ritagliarti comunque un po’ di tempo per studiare.
Cosa succede?
Succede che le aspettative con cui eri partita, o partito, non coincidono con la realtà e la motivazione cala. “Non imparerò mai il giapponese”, “Che senso ha andare a lezione a settimane alterne? tanto vale non andare”, “Non riesco neanche a fare una frase di senso compiuto, che senso ha fare gli esercizi?”. Come se non bastasse, per riconfermare che sei proprio buona nulla, vai un po’ avanti nel libro degli esercizi e ti metti a fare compiti su argomenti che non hai ancora approfondito “Vedi?! Non riesci a fare nemmeno questi!”.
Demotivazione. Frustrazione. Giudizio.
Certo, se fossi su un’isola deserta e non dovessi né lavorare, né occuparti degli imprevisti, sarebbe la condizione ideale in cui imparare una lingua. Ma la condizione ideale non collima con la realtà perchè, a parte una piccola fetta della popolazione mondiale, il resto deve lavorare e occuparsi di tutto ciò che la vita propone. Dopo aver chiarito a sé stessi questa cosa, si hanno davanti due strade:
Mollo tutto, tanto vale non aggiungere altri impegni (mi porto comunque dietro la frustrazione di non fare qualcosa a cui tengo e che mi appassiona).
Mi rimbocco le maniche e porto avanti la cosa, scendendo a patti con il tempo che ho a disposizione: faccio quello che posso compatibilmente con il tempo che ho e impegnandomi a limitare i sensi di colpa, che non servono.
Scegliendo il secondo punto la frustrazione ci sarà solo se pongo asticelle irraggiungibili. Solo se mi aspetto che da un momento all’altro, io riesca a parlare bene il giapponese come tanto vorrei saper fare. Riesco a tenere a bada quel senso di frustrazione se imparo, magari con l’aiuto dell’insegnante, a individuare degli obiettivi ragionevoli.
Lavorare sul definire degli obiettivi più ragionevoli, rende il percorso più accessibile, meno frustrante e più sostenibile nel tempo.
Forse anche l’obiettivo di parlare bene questa lingua dopo un solo anno di corso, in cui i ritmi sono quelli che sono, è un po’ ambizioso. Rivalutare i tempi e gli obiettivi non ti rende meno convinta o meno capace, meno brava, ti rende semplicemente più onesta e allineata con la realtà.
Così vale anche per i percorsi nutrizionali o per l’inserimento dell’attività fisica. Ognuno di noi ambisce a stravolgere la propria vita iniziando finalmente ad avere buone abitudini e un buon stile di vita. Quello che ci dimentichiamo, però, è che questa cosa va costruita. L’idea di quello che vuoi raggiungere è chiara, quindi inizi a mettere le basi. Su queste basi costruisci e poi plasmi quel che hai costruito, un’infinità di volte, perchè ti scontri con la realtà e capisci che sono necessarie modifiche perchè la cosa funzioni davvero bene per te (ed è così per tutti).
Lavorare su obiettivi realistici è fondamentale. Se per anni ho avuto determinate abitudini, se per anni ho preso e lasciato mille diete, se per anni ho usato la bilancia come unica conferma su di me e su quello che facevo forse ha senso cambiare metodo.
Concentrati su:
Cosa è per te la dieta?
Perchè scegli di iniziarla o di mettere in discussione le tue abitudini?
Come vuoi intraprendere il percorso?
La risposta che ti dai a queste domande è ancora più importante della dieta o del percorso stesso.
In più, è importante non scordarsi che, come per imparare il giapponese, il percorso nutrizionale è un processo. Quel che accade nel processo è più importante dell’esito, perchè è ciò che si impara nel durante a determinare il cambiamento permanente.
Pensa a un bambino che impara a camminare, non è che improvvisamente sta su in piedi, bello stabile. Pensa alla confidenza che man mano acquista con l’equilibrio, a quante volte cade dopo essersi alzato in piedi. Ogni tanto gattona ancora un po’ e poi si rialza. Quelle parti del processo, la confidenza con le nuove informazioni, pensa a quanto sono fondamentali per renderlo poi un bambino e un adulto in grado di camminare, saltare e correre. Mai durante il processo il bambino immagina di poter saltare (certo, in quel momento non gli interessa e magari non lo sa nemmeno), ma immagina la distanza tra imparare a stare in equilibrio in piedi e il salto. Sembra impossibile, no?
So bene che la maggior parte è focalizzata sui tempi, che devono essere i più rapidi possibile, e che il tempo è la parte più difficile da accettare nel percorso ma se ci pensi forse questo focus caratterizzava proprio tutte le diete fatte in passato e che alla fine hanno portato solo alla dieta successiva.
Non siamo noi a dettare i tempi ma il nostro corpo è imparare a riconoscerlo e a rispettarli è parte fondante del percorso.
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Il ragionamento è chiaro, ma per capirlo serve anche una buona capacità di introspezione - cosa sempre più rara in una società volutamente evasiva e distratta.
C'è chi alcune domande non è in gradi di porsele, chi non se l'è mai poste, chi non ascolta e chi nemmeno comprende.
Sta a noi seminare e al paziente - che è ruolo attivo del processo - adoperarsi per cambiare punti di vista.
A volte nascono fiori, molte altre volte il terreno sembra privo di vita. E anche questo va accettato.